BREVE
STORIA DELL'ATOMO E' affascinante ripercorrere, anche se brevemente, i momenti più importanti degli studi che hanno portato alla descrizione dellatomo, per spiegare come lintuizione di alcune menti particolarmente brillanti sia stata un faro per raggiungere con ingegno, pazienza e dedizione porti altrimenti lontanissimi. Il concetto di atomo (dal greco "atomòs", "indivisibile") come costituente della materia trae le sue origini dalla filosofia greca e, con alterne fortune (spesso più di origine filosofica che strettamente scientifica) ha navigato attraverso i millenni. Tra la fine del XVIII e linizio del XIX secolo gli studiosi si convinsero che la natura era discontinua e formata di atomi e molecole. Nessuno aveva idea, però, dellesistenza delle particelle costituenti. Nel XIX secolo, poi, furono eseguiti numerosi esperimenti
per determinare molte proprietà della materia. Ma spesso fu possibile ricavare solo leggi
empiriche di cui non era possibile dare una giustificazione. Il primo passo sulla strada per la verità avvenne quando,
nel 1897, J.J.Thomson, a conclusione di una serie di
esperimenti, capì di aver scoperto una particella: lelettrone.
Capì inoltre che il numero atomico Z è il numero di elettroni atomici. Su queste
basi realizzò il primo modello atomico, secondo il quale latomo è una sfera di
raggio circa 10-10m che racchiude sia gli elettroni che una carica positiva
diffusa allinterno della sfera in maniera omogenea (latomo nel suo insieme è
neutro). La posizione degli elettroni nellatomo è definita dalla repulsione
coulombiana.
Pochi anni più tardi, per cercare di dare una risposta ai
molti dubbi che ancora rimanevano, E.Rutherford consigliò a
due suoi ricercatori, H.Geiger e E.Marsden, di bombardare un sottilissimo foglio
doro con particelle a (oggi sappiamo composte da due neutroni
e due protoni, Rutherford sapeva solo che erano nuclei
doppiamente carichi di atomi di elio e molto pesanti).
I risultati di questesperimento,
però, furono sconvolgenti: le particelle vennero deviate più di quanto si aspettasse, ed
alcune di esse invertirono addirittura il loro moto. Rutherford commentando questi dati
scrisse: "Fu levento più incredibile che mi fosse mai capitato nella vita.
Altrettanto incredibile che se vi fosse capitato di sparare un proiettile da quindici
pollici su un pezzo di carta velina e questo fosse tornato indietro a colpirvi."
Rutherford cercò quindi di capire che cosa avesse potuto dare origine a risultati di
questo tipo ed arrivò a concludere che latomo è composto da un nucleo carico
positivamente, di raggio Le ragioni che portarono a queste conclusioni sono le seguenti: se una particella passa attraverso la materia esternamente alla corteccia degli elettroni, non sente alcun campo elettrico e quindi non viene deviata; se invece entra allinterno della nuvola atomica, incontra un campo tanto più intenso quanto più è vicina al nucleo e quindi tanto più viene deviata. Nel caso di urto frontale con un nucleo, il proiettile può addirittura invertire il suo moto. Questo modello, che prese il nome dal suo ideatore, non spiegava però ancora molti dei risultati sperimentali osservati e neanche di che cosa fosse fatto il nucleo. Risultava poi evidente che la materia è vuota poiché tra il nucleo e la fine della corteccia atomica sono presenti solo poche (al massimo un centinaio) particelle praticamente puntiformi. La soluzione del problema sembrava, però, più vicina, anche se molti fisici erano scettici su questo nuovo modello che lasciava ancora molti fenomeni inspiegati. Ad illuminare il cammino verso la comprensione della reale struttura dellatomo arrivò, nel 1913, un giovane fisico danese: Niels Bohr. Questi, di ritorno da un viaggio presso il laboratorio di Rutherford (che lo aveva definito "uno dei giovani più intelligenti che io abbia mai incontrato") propose una spiegazione del comportamento degli elettroni atomici. Il principale problema del modello di Rutherford è legato agli elettroni che lo compongono. Sappiamo infatti che essi, stando vicino al nucleo, risentono dellattrazione Coulombiana; non potrebbero rimanere fermi, in quanto questa forza di richiamo li accelererebbe fino a farli collassare sul nucleo, cosa impossibile essendo la materia stabile. Daltronde lelettrone non può neanche muoversi. Infatti una legge sul moto delle particelle cariche afferma che, se una particella carica devia dal moto rettilineo (e quindi subisce unaccelerazione, come una macchina in curva), emette onde elettromagnetiche perdendo parte della sua energia cinetica. Se lelettrone si muovesse liberamente nellatomo perderebbe tutta la sua energia in pochi miliardesimi di secondo e collasserebbe sul nucleo. Per ovviare al problema apparentemente insormontabile della presenza degli elettroni intorno al nucleo, Bohr applicò ad alcuni concetti appresi presso il laboratorio di Rutherford le idee della quantizzazione introdotte da Planck ed ampliate da Einstein. Egli immaginò che il moto dellelettrone intorno al nucleo fosse simile a quello della luna intorno alla terra (moto planetario), sostituendo l'interazione gravitazionale con quella elettromagnetica. Per superare il problema dellemissione di radiazione elettromagnetica da parte degli elettroni, suppose che esistessero delle orbite stabili sulle quali lelettrone potesse rimanere senza perdere energia. Secondo questidea le orbite dellelettrone venivano, quindi, quantizzate. Per definire quali orbite fossero permesse, Bohr pensò che, compiendo lelettrone orbite circolari, il suo momento angolare non doveva cambiare e suppose che questo fosse una buon candidato per essere quantizzato. Dallo sviluppo di questo modello Bohr dedusse che gli elettroni atomici sono distribuiti a strati, nel senso che coprono orbite intorno al nucleo a diverse distanze (come i pianeti intorno al sole), fissate dalla condizione di quantizzazione. Affinchè questo modello potesse essere presentato come una corretta spiegazione della distribuzione degli elettroni nellatomo, era necessario che potesse giustificare alcuni risultati sperimentali. Una importante vittoria fu quella di fornire una giustificazione per le misure spettroscopiche ottenute e non ancora spiegate. Secondo quanto si era venuto a delineare in quegli anni, la luce incidente sul gas è composta da tutte le frequenze comprese allinterno di un certo intervallo, quindi di fotoni di diversa energia (a seconda della frequenza). Bohr suppose che tutti i fotoni attraversano gli atomi del gas senza interagire tranne quelli con unenergia tale da portare gli elettroni da unorbita permessa ad unaltra più lontana dal nucleo. Secondo questo modello, quando un fotone viene assorbito dallatomo, lelettrone si allontana dal nucleo; pochi miliardesimi di secondi dopo, lelettrone ritorna nellorbita iniziale riemettendo energia sotto forma di fotoni. Solo i fotoni (e quindi le frequenze della luce) tali da fornire un energia allelettrone per eseguire la transizione tra due livelli atomici, vengono assorbiti, e ciò vale anche nel caso dellemissione di fotoni durante la diseccitazione atomica (che è un processo di decadimento, denominato decadimento g ). Bohr calcolò quali frequenze sarebbero dovute essere riemesse dallatomo durante il processo di diseccitazione. I risultati furono in ottimo accordo con quanto misurato sperimentalmente. Nonostante il successo del modello di Bohr, non tutti i fisici inizialmente abbracciarono questa ipotesi. Lo stesso Rutherford commentò così, il 20 marzo del 1923, la lettera inviatagli da Bohr con la descrizione della sua teoria e dei suoi risultati: "Le Sue idee sullorigine dello spettro dellidrogeno sono molto ingegnose e sembrano funzionare bene; ma la mescolanza delle idee di Planck con la vecchia meccanica consente molto difficilmente di formarsi unidea fisica della base del discorso. Mi sembra ci sia una grave difficoltà nelle sue ipotesi, che non penso affatto Le sia sfuggita: come fa un elettrone a decidere con quale frequenza deve vibrare quando passa da uno stato stazionario allaltro? Sembra che debba supporre che lelettrone sappia in partenza dove andrà a finire." (a questo dubbio risponderà, in seguito, la meccanica quantistica...) La strada giusta era stata trovata. Il modello di Bohr, per quanto spiegasse bene la maggior parte dei risultati, lasciava ancora problemi irrisolti. In seguito Arnold Sommerfeld riuscì ad ampliare questo modello, generalizzando ed aumentando le condizioni di quantizzazione imposte da Bohr. Grazie a queste e ad altre nuove idee i risultati delle misure sperimentali erano sempre più facilmente spiegabili. Anche la comprensione della struttura del nucleo subì in quegli anni un forte sviluppo fino ad arrivare, nel 1932, alla scoperta del neutrone da parte di J.Chadwick. Era lultimo tassello per capire da cosa fosse costituito latomo. Alcuni anni più tardi, rispetto allo sviluppo del modello di Bohr-Sommerfeld (o modello semiclassico), Schrödinger ed Heisenberg risolsero, secondo la teoria della meccanica quantistica, il problema dellatomo didrogeno, ritrovando le condizioni di quantizzazione che Bohr e Sommerfeld avevano inserito a naso. La meccanica quantistica, a differenza di quella classica, è una teoria probabilistica, quindi non dice che gli elettroni vivono su orbite fisse, ma fornisce la probabilità di trovarli ad una certa distanza dal nucleo. Il valore più probabile, per ogni orbita, coincide con quello trovato con il modello semiclassico. |